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I “RISVOLTI” DELLA DOMENICA / “L’imbroglio”

Rubrica a cura di Salvatore Picone

Anche con il “risvolto” di questa domenica restiamo ad Agrigento dove il 30 marzo di 63 anni fa, lungo il viale della Vittoria – luogo unico, ieri come oggi, con vista mozzafiato della Valle dei Templi e del mare africano – fu ucciso il commissario di polizia Aldo Tandoy. Una storia, quella di Tandoy, più complicata di quanto si possa immaginare. Alcuni sostengono addirittura che poco si è parlato, in riferimento a questo caso, del “sacco di Agrigento” che ha distrutto una città. Cosa c’è dietro l’uccisione di Tandoy?

Se lo chiedono, in un bel libro freschissimo di stampa Sergio Buonadonna e Massimo Novelli pubblicato da Navarra. S’intitola L’imbroglio: già dal titolo e dal sottotitolo (Aldo Tandoy, commissario, Mauro De Mauro, giornalista, Ezio Calaciura, giornalista) si comprende bene il grande imbroglio del caso Tandoy che viene posto in relazione anche con le storie misteriose e oscure di due giornalisti che se ne occuparono a lungo: Mauro De Mauro e Ezio Calaciura.

Tanti se ne sono occupati, di quel delitto di mafia che affonda la sua matrice nella politica collusa. Giornalisti, letterati come Leonardo Sciascia e Antonio Russello che si sono ispirati a questo fatto per due dei loro libri migliori. E poi saggi, inchieste e persino opere teatrali.

I giornali dell’epoca parlarono di un “giallo” sensazionale.

Quell’agguato provocò anche la morte di Ninni Damanti, uno studente di vent’anni colpito da un proiettile vagante: era nel posto sbagliato nel momento sbagliato. La lunga inchiesta addensò più che diradare tutte le ombre di una storia scomoda che metteva in imbarazzo il sistema di potere di quel tempo. E per questo si tentò di far passare un delitto di mafia con mille intrecci come un omicidio a sfondo passionale maturato nei salotti bene della città.

Gli autori del libro legano questo colossale imbroglio, appunto, anche ai casi di De Mauro e Calaciura.

De Mauro, che scriveva per L’Ora e venne sentito dalla corte d’assise, fu rapito la sera del 16 settembre 1970. Calaciura, che di Tandoy scrisse prima per L’Ora e poi per La Sicilia, morì nel marzo 1973 in un misterioso incidente stradale in Calabria, ma mai nessuna indagine ha illuminato il contesto del terribile schianto.

Non si trovarono più le carte di Calaciura sul “caso” Tandoy e non si capisce l’interesse di due persone che offrirono soldi alla famiglia per avere le ferraglie dell’auto del giornalista. Nei primi due anni l’inchiesta ha tenuto in piedi la pista passionale. Il professor Mario La Loggia e Leila Motta, vedova di Tandoy, furono arrestati come mandanti e “amanti diabolici”. Ma era un depistaggio. Serviva a colpire le ambizioni politiche dei La Loggia, esponenti di spicco della Dc siciliana.

E quella fu, sostengono gli autori del libro, anche una delle prime trattative Stato-mafia. Gli assassini temevano che Tandoy, intanto trasferito a Roma, potesse rivelare quello che aveva taciuto sulla guerra di mafia con epicentro a Raffadali legata a una faida interna alla Dc. Il commissario aveva preparato un dossier che voleva portare con sé ma venne fatto sparire in questura. Il processo si concluse solo nel 1975. Santo Librici e Vincenzo Di Carlo furono condannati all’ergastolo come mandanti, Giovanni Baeri a 30 anni come esecutore. Ma i depistaggi organizzati non consentirono di allargare lo sguardo oltre il livello criminale.

Un libro da leggere, che apre gli occhi su un “caso” a cui é legata la storia di Agrigento e della Sicilia se si pensa che il 30 marzo del 1960, con l’uccisione di commissario di polizia Aldo Tandoy, la mafia anticipa di non poco il terrorismo dei corleonesi di Riina e Provenzano rompendo così il tabù dell’attacco diretto alle istituzioni.