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I “RISVOLTI” DELLA DOMENICA / “Fuoco all’anima”

Rubrica a cura di Salvatore Picone

I risvolti della copertina di un libro introducono le pagine da leggere, invitano in qualche modo alla lettura. Così, prendendo spunto dal nome di queste parti ripiegate delle copertine dei libri, inauguriamo questa nuova rubrica domenicale della “Strada degli scrittori” che presenterà un “risvolto” di una novità editoriale o di un libro da rileggere.

La inauguriamo con un titolo che torna in libreria dopo più di trent’anni: Fuoco all’anima (Adelphi), le conversazioni di Domenico Porzio con Leonardo Sciascia avvenute tra il 1988 e il 1989.

«Sono finiti i caffè letterari, il colloquio stesso» confida Sciascia a Domenico Porzio. «Eppure colloquiare significava non soltanto chiacchiera, ma esperienza, urbanità». Ed è come se questo libro, che registra incontri avvenuti lungo il 1988 e il 1989 e interrotti dalla morte dello scrittore, i due amici l’avessero disegnato proprio per scongiurare la fine del libero colloquiare, la dilagante riduzione a intervista della conversazione. Provocato dalla inesauribile curiosità di Porzio, stimolato da un dialogo mutevole, schietto, indisciplinato, Sciascia parla con un’asciuttezza in cui il fervore è schermato dal riserbo e dalla precisione, offrendoci inattesi squarci sulla sua infanzia, quando il 2 novembre i bambini ricevevano i regali dei morti; sulla biblioteca della zia maestra e sul teatro di Racalmuto, responsabili della sua divorante passione per i libri e il cinema; sui drammi che l’hanno segnato, come il suicidio del fratello, cui è seguita quella che con ammirevole pudore definisce «una sequela di guai»; sull’impiego al Consorzio agrario, che gli ha assicurato «il primo impatto con la giustizia». Ma, insieme, vengono alla luce anche tutti i suoi amori: oltre ai libri, Parigi, il Settecento, Stendhal, Savinio, su cui ha pesato l’italica «avversione all’intelligenza», Borges, Pirandello, «incontrato nella natura, nei luoghi». E i segreti della sua officina, come la mescolanza dei generi suggeritagli da Malraux, che vedeva in Santuario di Faulkner «la tragedia greca … calata nel romanzo poliziesco» – incluso il più spiazzante ed efficace: «Per me scrivere è una cosa allegra». (A cura di Michele Porzio)