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Agrigento e i misteri di una casa romana

di Giovanni Taglialavoro

Sul “Corriere della Sera” Giovanni Taglialavoro, agrigentino, giornalista e autore Rai, racconta le vicende di una casa appartenuta probabilmente ad un ricco e potente cittadino romano di Agrigentum i cui resti si trovano nel cuore della Valle dei Templi. In corso le ricerche degli studenti dell’Università di Bologna. I graffiti ritrovati raccontano una città dove si svolgevano spettacoli circensi

C’è una casa, nel cosiddetto quartiere ellenistico-romano di Agrigento, piena di misteri e di sorprese. E di graffiti. La stanno scavando studenti e ricercatori dell’Università di Bologna diretti dal professore Giuseppe Lepore, grazie ad una convenzione col Parco Archeologico e Paesaggistico «Valle dei Templi» di Agrigento. Si estende per 400 metri quadrati e si articola su un piano terreno e un primo piano per un’altezza di sette metri. L’ultimo ad abitarla sarà stato certamente un romano, molto ricco e forse anche di grande rilievo politico. Ha una particolarità che la rende davvero preziosa: ad un certo punto questa casa è crollata su sé stessa, con ogni probabilità demolita.

Primo mistero: perché demolirla? Perché sulla sua area nei secoli successivi non si è costruito? Eppure tutto intorno l’Agrigentum romana pullulava di case, di edifici termali, di teatri. A pochi metri si estendeva in tutta la sua straordinaria monumentalità il forum, tra i più grandi del mondo ellenistico-romano. E allora la domanda si impone: perché? «Probabilmente perché», ipotizza il professore Lepore, «la demolizione sarà stata l’effetto di una decisione politico-giudiziaria simile a quella che portò alla distruzione della casa di Cicerone a Roma quando il grande oratore cadde in disgrazia». In questi casi i resti vanno lasciati alla vista come memoria di un’infamia e monito per eventuali emulatori.

La caduta in disgrazia dell’eminente latino arricchisce la ricerca dei nostri archeologi, perché proprio il crollo e il conseguente divieto di costruzione nell’area oggi consentono di esplorare i materiali intatti di una casa così come si è evoluta dal III secolo a. C. fino al II d. C. Pavimenti intatti, decorati a coccio pesto o a mosaici, pareti dipinte con colori vivaci simili a quelli pompeiani e, soprattutto, tracce sbalorditive di vita quotidiana attraverso alcuni graffiti rinvenuti su pareti delle stanze del primo piano, recentemente letti grazie ai ricercatori dell’Università di Macerata. La scrittura è in latino, in alcuni casi di elegante grafia, tracciata con punteruoli sull’intonaco variamente colorato ad altezza delle mani.Uno di questi graffiti cita i «duoviri» che governano la città, segno che l’abitazione doveva appartenere ad un personaggio di rilievo, un altro fa riferimento a spettacoli tra gladiatori e belve. Il testo è distribuito su sei linee. Vi si riconosce il riferimento a una datazione in rapporto alle Idi di maggio e la menzione di coppie di atleti o gladiatori; il che fa pensare ad appunti relativi a edizioni di ludi, una sorta di promemoria di spettacoli gladiatori, una pratica questa ricorrente su affreschi pompeiani.

Ce n’è abbastanza per aprire una nuova caccia archeologica, dopo quella del teatro durata cinque secoli e conclusa sette anni fa quando finalmente è stato rinvenuto nel lato sud dell’agorà: ora tocca all’anfiteatro. Secondo i graffiti ad Agrigentum si svolgevano gli spettacoli circensi. Sembra, se non una prova, un forte indizio a conferma dell’esistenza del monumento circense. In Sicilia si conoscono quelli di Siracusa, Catania e Termini Imerese. Negli ambienti del Parco si ammicca compiaciuti, ma non ci si sbilancia. Si sa con certezza che vi è ancora un’intera città da scoprire sotto gli alberi di ulivo e i mandorli della valle. Il professore Lepore lancia un’ipotesi «Potrebbe anche darsi che ad un certo punto il teatro, quello che è stato scoperto di recente e non ancora scavato se non in minima parte, sia stato trasformato in anfiteatro aggiungendovi l’arco mancante». Una ragione in più per riprendere gli scavi del teatro, fermi da troppo tempo.

da “Corriere della Sera” del 21 luglio 2023